
Undici persone, tra cui una donna, sono state accusate dell’omicidio per linciaggio di un paramilitare durante l’ondata di proteste che sta scuotendo l’Iran dalla morte in custodia della giovane curdo-iraniana Mahsa Amini, avvenuta a settembre per aver presumibilmente indossato in modo scorretto il velo islamico.
L’incidente, uno dei più importanti di questo periodo, si è verificato il 3 novembre a Karaj, a ovest di Teheran. Secondo il resoconto delle autorità, riportato sabato dall’agenzia giudiziaria iraniana Mizan, il paramilitare, identificato come Sayed Ruhollah Ajamian, era «disarmato e stava liberando una strada quando una folla lo ha attaccato con coltelli e pietre».
«Infine, in un atto paragonabile al comportamento dello Stato Islamico (organizzazione jihadista), hanno trascinato il suo corpo nudo e morente sull’asfalto della strada, tra le auto», conclude il resoconto ufficiale dell’uccisione di Ajamian, membro della milizia Basij, che fa parte della Guardia Rivoluzionaria Islamica dell’esercito iraniano.
Tra le accuse mosse ai sospetti, una spicca su tutte: quella di «corruzione di terreni», che in Iran è punibile con la morte.
Gli incidenti sono avvenuti nei pressi del cimitero di Behesht Sakineh, in un giorno di lutto per la morte di Hadis Najafi, una manifestante di 22 anni uccisa durante una protesta il 21 settembre in questa città di Karaj, 30 chilometri a ovest della capitale.
La repressione delle proteste, che includono richieste di caduta del regime iraniano, ha finora ucciso più di 300 persone, secondo gli ultimi dati dell’organizzazione non governativa Iran Human Rights (IHR), anche se altre ONG stimano che il bilancio delle vittime sia superiore a 400.