
L’ex leader paramilitare Salvatore Mancuso ha fatto sapere in una lettera al Presidente della Colombia, Gustavo Petro, che il suo «impegno» per raggiungere una pace definitiva nel Paese rimane «intatto» e per questo chiede di incontrarlo.
«Se abbiamo avuto la capacità e i modi per condurre una guerra così frenetica e straziante, abbiamo anche la capacità, i modi e l’esperienza per contribuire a fermarla», scrive Mancuso in una lettera che è stata riportata dai media.
Così, colui che è stato uno degli uomini armati più sanguinari del conflitto interno colombiano ha assicurato a Petro di condividere con lui «che in ogni caso la verità deve venire prima di tutto» e in questo senso ha sottolineato che durante il processo di smobilitazione dei gruppi paramilitari di autodifesa ha sempre rispettato questa massima.
«Sono pronto a dialogare con lei (…) per concretizzare questa volontà condivisa e consegnare alle nuove generazioni una Colombia pacifica e più umana», ha detto Mancuso al presidente Petro, al quale ha anche chiesto di essere riconosciuto come agente di pace durante i negoziati.
Nel documento, Mancuso ha sottolineato che, nell’ambito dei suoi sforzi per offrire «verità» nel corso di questo processo, ha ricevuto minacce alla sua sicurezza e a quella della sua famiglia. «Quello che ho dovuto dire l’ho detto a costo della mia sicurezza e di quella della mia famiglia, e come resoconto del luogo in cui mi trovo e della vendetta e persecuzione a cui siamo stati sottoposti», ha detto.
Mancuso, detenuto in un carcere statunitense per reati legati al traffico di droga, ha tentato più volte, senza successo, di rivolgersi alla Giurisdizione speciale per la pace (JEP), un meccanismo giudiziario nato dopo gli accordi di pace del 2016 con gli ex guerriglieri delle FARC.
Triple Zero», come era conosciuto durante i suoi anni a capo dei paramilitari, spera di essere accettato dal SJP come terzo civile se riuscirà a dimostrare i presunti legami che questi gruppi armati hanno mantenuto con agenti delle forze di sicurezza e dell’esercito in diverse fasi del conflitto armato.
Temendo l’estradizione in Colombia una volta scontata la pena negli Stati Uniti, ha due procedimenti giudiziari aperti per la sua responsabilità in più di 600 omicidi, lo sfollamento forzato di quasi 1.000 persone e più di trenta sparizioni forzate.
Egli stesso ha riconosciuto il suo coinvolgimento in almeno 300 omicidi, tra cui il massacro di El Aro, che gli è valso una condanna a 40 anni di carcere mai scontata per aver aderito al meccanismo della Legge di Giustizia e Pace promossa dall’ex presidente Álvaro Uribe per smobilitare i paramilitari.






