
La giunta militare birmana ha respinto venerdì la richiesta avanzata il giorno prima dall’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN) di attuare senza indugio il piano di pace elaborato dall’organizzazione come principale mediatore internazionale nel conflitto birmano.
Durante l’incontro di giovedì, i Paesi dell’ASEAN hanno dichiarato la loro stanchezza per la mancanza di progressi dopo il colpo di Stato militare del febbraio dello scorso anno, che ha visto l’imprigionamento dei leader democraticamente eletti del Paese e ha scatenato un’ondata di repressione militare contro i dissidenti, seguita da una rivolta armata sia da parte di gruppi di ribelli armati che di volontari autoproclamatisi resistenti popolari.
I Paesi dell’ASEAN hanno detto alle autorità birmane che «è giunto il momento di agire», promuovendo «misure concrete, pratiche e tempistiche» per porre fine a una situazione «critica» e «fragile» dovuta alla «complessità» dei conflitti «prolungati» nel Paese.
In risposta, la giunta militare ha dichiarato che qualsiasi manovra di pressione internazionale «finirà per generare implicazioni più negative che positive», secondo una dichiarazione del Ministero degli Esteri birmano riportata dal quotidiano «The Irrawaddy», legato all’opposizione.
Nella nota, pubblicata sulla sua pagina Facebook, il ministero assicura che «il Consiglio amministrativo di Stato», nome ufficiale della giunta, «sta cercando di ripristinare la democrazia in Birmania da un colpo di Stato che descrive come «l’assunzione della responsabilità dello Stato».
Il ministero ricorda inoltre che la Birmania non era presente all’incontro di giovedì a Giacarta, in Indonesia, per cui qualsiasi dichiarazione fatta in quella sede «non è in linea con i principi sanciti dalla Carta dell’ASEAN» e la giunta non è quindi «vincolata dai termini» risultanti dall’incontro.
Il Ministero descrive ancora una volta il Governo di unità nazionale, formato da ex membri del governo birmano ora in esilio, come una «organizzazione terroristica» che accusa di intraprendere «attività violente per disturbare i suoi sforzi di pace».
«Nonostante le sfide e le pressioni indebite dall’interno e dall’esterno del Paese», il governo birmano sostiene di continuare a cooperare per «concretizzare» il piano di pace dell’ASEAN, il cosiddetto consenso in cinque punti che chiede, tra l’altro, l’apertura di un processo di dialogo, la fine della violenza armata e della repressione e la ripresa del processo di ingresso degli aiuti umanitari nel Paese.
L’opposizione birmana accusa la giunta di aver ucciso quasi 2.400 persone nelle sue operazioni repressive dal colpo di stato e stima che più di 12.000 siano detenute illegalmente in attesa di processo, secondo l’ONG Association for Political Prisoners of Burma (AAPP).
All’inizio della settimana, la giunta militare è stata costretta a rilasciare un’altra dichiarazione pubblica per negare il suo coinvolgimento nel bombardamento di un festival musicale nel nord dello Stato di Kachin, che avrebbe causato la morte di almeno 75 civili, ha dichiarato giovedì il gruppo ribelle armato Kachin Independence Army (KIA).






